Opera filosofica di Giordano Bruno (1584),
costituita da un'epistola proemiale, da cinque componimenti in versi e da cinque
dialoghi. In essa il filosofo espone la sua concezione del reale, sostenendo che
l'universo è principio e causa di se stesso e affermandone la completa
unità, priva di qualsiasi trascendenza e quindi di ogni dualità.
La realtà esiste in sé e per sé, come causa, principio e
unità. La divinità non è perciò esterna al mondo, ma
immanente ad esso, e la concezione medioevale di una dualità metafisica
è esplicitamente negata da Bruno che vede in suo luogo
un'indissolubilità tra creatore e creato. L'opzione che il filosofo
compie per il modello cosmologico copernicano contro quello aristotelico, si
spiega anche con la maggiore congenialità del primo alla dottrina di
Bruno, dal momento che negando la centralità della Terra rispetto
all'universo, nega anche l'esistenza di un centro vero e proprio in assoluto e
permette solo punti di vista relativi.