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Burundi.

Stato (27.834 kmq; 7.068.000 ab.) dell'Africa centro-orientale. Confina a Nord con il Ruanda, a Ovest con la Repubblica Democratica del Congo, a Sud con la Tanzania e a Est con il Lago Tanganica. Capitale: Bujumbura (300.000 ab.), che è anche il principale porto sul Lago Tanganica. Città principali: Gitega, Ngozi, Muyinga. Ordinamento: Repubblica presidenziale. Moneta: franco del B. Lingue ufficiali: francese e kirundi. Religione: la maggioranza della popolazione pratica culti animistici; esiste una minoranza cattolica. La maggioranza della popolazione appartiene al gruppo Ba-hutu; vi sono minoranze di Batwa e di Ba-tutsi, aumentati per l'afflusso di profughi del Ruanda.

GEOGRAFIA

Il B. è costituito da un altipiano (1.000-2.000 m) delimitato a Ovest da una catena montuosa che precipita sulla valle del fiume Ruzizi e sulle sponde nord-orientali del Lago Tanganica. Altro fiume che attraversa l'altopiano è il Ruvuvu, immissario del Nilo. Il clima è tropicale ai margini occidentali del Paese, temperato altrove. La piovosità annua va da 900 a 14.000 mm. Nella vegetazione predomina la savana, sulle alture più elevate la foresta con sottobosco di felci e liane; paludosa è invece la zona in cui abbondano le piogge.
Cartina del Burundi

ECONOMIA

Il B. è uno tra i Paesi più poveri dell'Africa. La quasi totalità della popolazione è dedita all'agricoltura, che è però a livello della semplice sussistenza. Soltanto la metà della superficie coltivabile è sfruttata per le colture tradizionali di cereali, arachidi, legumi, caffè, tabacco e cotone. Anche l'allevamento (bovino, ovino e caprino) e la pesca sono rivolti solo alle necessità interne. Le risorse minerarie (oro, nichel, cassiterite) sono scarsamente sfruttate e le industrie sono limitate a impianti per la lavorazione del caffè, dei semi oleaginosi e a piccole fabbriche tessili, meccaniche, di calzature e alimentari (produzione di birra).

STORIA

Il territorio dell'attuale B., unitamente a quello del Ruanda, fu occupato intorno al XV sec. da popolazioni camite, i Ba-tutsi (Vatussi), che assoggettarono le popolazioni locali di tipo negroide (Ba-hutu) e pigmiforme (Batwa), organizzando una società feudale e costituendo i Regni del Ruanda e del Burundi. Nel XVII sec. i due Regni furono conquistati dal re (mwami) Ntare I, dando inizio alla dinastia che avrebbe mantenuto la sovranità sul B. fino al 1966. Nel 1885, il territorio fu posto sotto protettorato coloniale tedesco e nel 1915 fu occupato militarmente dal Belgio che, nel 1922, ottenne dalla Società delle Nazioni un mandato, costituendo lo Stato del Ruanda-Urundi. Nel 1946 il mandato fu sostituito dall'amministrazione fiduciaria, e il territorio dell'Urundi, rifiutata l'alternativa di costituire un unico Stato col Ruanda e assunto il nome attuale, fu avviato all'indipendenza, proclamata nel luglio 1962. Dato il relativo grado di integrazione tra Hutu e Tutsi sembrò in un primo tempo che la Monarchia tradizionale potesse conservare il trono. Presto, però, si ebbe un inasprimento delle discordie tra Tutsi, che costituivano la classe aristocratica, e Hutu, che rappresentavano la grande massa della popolazione (90%) ed erano decisi a liberarsi dal proprio stato di soggezione nei confronti dei Tutsi. Si ebbe così una serie di atti di violenza: nel 1961, alla vigilia dell'indipendenza, venne ucciso il primo ministro, principe L. Rwogasose; nel gennaio 1965 la stessa sorte toccò al primo ministro P. Ngendandumwe; nell'ottobre successivo anche il nuovo capo del Governo, Leopold Biha, rimase gravemente ferito e lo stesso re Mwambutsa IV fu costretto a fuggire dalla capitale. Il colpo di Stato da parte di un gruppo di militari e civili Hutu fallì e provocò una durissima repressione. Condanne a morte ed esecuzioni in massa dissanguarono le file dell'élite politica e intellettuale Hutu, mentre l'instaurazione di un regime militare rendeva pressoché assoluta l'autorità monarchica. Questa era esercitata dal primo ministro Biha, su delega del re, ritiratosi, per ragioni di sicurezza, in Svizzera. Egli inviò a rappresentarlo il figlio diciottenne, Charles Ndizeye, che presto si legò alle forze progressiste tutse. Entrato in conflitto con il primo ministro Biha, il principe appoggiò il colpo di Stato militare fomentato dal giovane capo delle forze armate, capitano Michel Micombero (8 luglio 1966). Disciolto il Governo e dichiarato decaduto il re Mwambutsa IV, il ventiseienne Micombero formò un Governo di giovanissimi militari e borghesi, facendo incoronare Ndizeye, col nome di Ntaze V (1° settembre 1966). Presto sorsero però contrasti e nel novembre successivo Micombero dichiarò deposto il re, proclamò la Repubblica e si autonominò presidente. Per quanto il controllo dei Tutsi sulla vita economica e politica fosse stato ridimensionato, continuò a sussistere una grave tensione razziale, aggravata dalle precarie condizioni economiche del Paese. Lo scoppio di una nuova, gravissima crisi si ebbe in seguito al fallito colpo di Stato organizzato nell'aprile 1972 da militari fedeli all'ex re Ntaze, rimasto ucciso nel corso degli scontri. Seguirono sanguinose rappresaglie che provocarono varie decine di migliaia di morti (80.000, secondo la stima ufficiale fornita dal Governo all'ONU), mentre numerosi altri trovarono scampo in Tanzania e nello Zaire. Per quanto all'origine di questi sanguinosi incidenti, come di quelli del 1961, vi fosse la rivalità tra Tutsi e Hutu, la lotta per il potere si svolse ancora una volta all'interno del gruppo aristocratico dominante. Essa ebbe infatti come protagonisti i Tutsi-Abanyarugus (tribù del Nord) sollevatisi contro i Tutsi-Anyabaruris (tribù del Sud) cui era legato il presidente Micombero coi suoi più stretti collaboratori. La feroce repressione si accanì però contro la popolazione Hutu e contro le forze di opposizione, costrette a operare nella clandestinità dopo l'instaurazione del Partito unico, l'Uprona. Imboccata la via del neocolonialismo, Micombero poté contare sull'appoggio del Belgio e degli Stati Uniti, cointeressati allo sfruttamento delle risorse del Paese, basate sulla coltura del caffè e del cotone. Nel luglio 1972, il presidente Micombero nominò un nuovo Governo e nominò primo ministro il presidente del Partito unico Albin Nyamoya che venne però rimosso nel giugno dell'anno successivo, testimoniando il permanere di una situazione molto critica. Nel 1976 il colonnello Bagaza destituì Micombero con un colpo di Stato, costituendo un nuovo Governo. Nei primi giorni del 1979 le autorità espulsero 95 missionari dal Paese, con la grave accusa di aver sobillato la popolazione contro il Governo di Bagaza e di aver convinto alcuni giovani a fuggire nei Paesi vicini per denunciare lo stato di tensione socio-politica all'interno del B. Nel 1984 Bagaza venne rieletto con il 99,63% dei voti, che però non impedirono nel 1987 un colpo di Stato che lo destituì a favore del maggiore Pierre Buyoya. Dal 14 al 21 agosto 1988 riesplose violentissima la faida tribale tra le due etnie che popolavano il Paese, i Bahutu e Watutsi; l'esercito intervenne per sedare la catena di sopraffazioni e massacri, che alla fine causarono più di 20.000 morti. Esauritasi la guerra civile, venne costituito il nuovo governo formato da tredici hutu, tra cui il primo ministro, e dieci tutsi, che continuarono comunque a mantenere il comando dei posti chiave e dei ministeri più importanti. Nonostante questi tentativi di riappacificazione tra le diverse etnie, il comando del Paese rimase di fatto in mano al Comitato militare per la salute nazionale, formato da tutsi fortemente contrari a qualsiasi apertura verso gli hutu. Nel marzo del 1989 fu sventato un colpo di Stato e nel 1990 il presidente Buyoya annunciò ufficialmente l'avvio di un processo mirato alla realizzazione di un regime multipartitico e la concomitante abolizione del Comitato militare di salvezza nazionale. Tale processo di transizione fu attuato non senza difficoltà, facendo fronte a tentativi di destabilizzazione come le infiltrazioni armate avvenute nel 1991 e nel 1992 o l'organizzazione del colpo di Stato fallito nel marzo del 1992. Le elezioni presidenziali del 1993 sancirono comunque la vittoria dell'etnia hutu che per la prima volta riuscì a far eleggere un suo membro, Melchior Ndadaye, alla presidenza della Repubblica. Dopo pochi mesi dal suo insediamento, nell'ottobre 1993 un gruppo di militari tutsi assassinò il presidente in carica e altri esponenti politici hutu (tra cui il successivo presidente Cyprien Ntaryamira), segnando nel Paese l'inizio di una nuova fase di scontri tra etnie. Nel 1996 l'ex presidente Buyoya, che dal 1993 si era dedicato alla ricostruzione e alla riappacificazione interna, si impadronì del potere con un colpo di stato militare a seguito del quale vennero stabilite sanzioni economiche da parte della comunità internazionale africana. Nel 1998 venne stabilito un Governo di transizione che avvicinasse gli ex golpisti e le altre forze interne al Paese e la manovra, rassicurando le Nazioni vicine, portò alla revoca dell'embargo nel gennaio 1999. Durante l'anno, e nel corso del successivo, però, continuarono le misure repressive nei confronti delle comunità rurali del Paese, dove perdurarono gli scontri interni e si accrebbe il numero dei rifugiati in Tanzania. Nel marzo del 2001 i ribelli del Fronte di liberazione nazionale (FNL) lanciarono una pesante offensiva contro la capitale Bujumbura. La situazione si aggravò ulteriormente quando in aprile un gruppo di militari tentò senza successo di destituire il presidente Buyoya, che in quel momento si trovava in Gabon per colloqui con i leader hutu. In luglio, proprio mentre ad Arusha si apriva un nuovo vertice regionale per la pace, il ministro della Difesa burundese rese noto che le autorità avevano sventato un nuovo colpo di Stato. Alla fine di ottobre, grazie alla mediazione di N. Mandela, si insediò il nuovo Governo di unità nazionale, composto da rappresentanti delle etnie tutsi e hutu. Nel gennaio 2002 Jean Minani, leader del partito di maggioranza hutu FRODEBU (Fronte democratico burundese), fu eletto presidente dll'Assemblea nazionale di transizione incaricata di superare le divisioni etniche del Paese.