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Bruno, Giordano.

Filosofo e scrittore italiano. Di nobili origini, compì i suoi studi a Napoli, dove poté frequentare un ambiente molto stimolante dal punto di vista culturale. A 17 anni entrò come novizio nel convento di S. Domenico a Napoli e nel 1572 prese gli ordini. Appassionato di teologia e di filosofia antica e moderna, cercò di arrivare a una conciliazione tra il neoplatonismo e il cristianesimo ortodosso. Giudicato ateo, fu perseguitato a causa delle sue concezioni filosofiche. Opponendosi alla cultura tradizionale scolastica, pedantesca e di stampo aristotelico, B. si avvicina inizialmente al materialismo atomistico di Democrito e degli Epicurei; anche queste concezioni però risultano presto troppo schematiche per lui, che si avvicina quindi a una visione naturalistica della realtà, secondo la quale tutta la realtà naturale è ordinata e guidata da una forza vivente che, secondo le stesse parole di B., "è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consistenzia de le parti ... stende le cartilagini, incava le arterie ... intesse le fibre, ramifica gli nervi ... ". B. si preoccupa unicamente di indagare il mondo naturale, perché solamente al suo interno è possibile riscontrare la presenza del divino, che si identifica con la realtà naturale. Universo e Dio s'identificano nello stesso concetto: Dio cioè si confonde con l'Universo, ne è l'anima stessa. Le cose sono soggette a una continua trasformazione, ma nessuna perisce. La vera religione per B. si identifica nella carità, nell'amore verso il prossimo, nel tollerare ogni credo, nella filantropia universale che ci fa amare anche i nemici e ci rende simili a Dio, il quale versa la luce del sole tanto sul giusto quanto sull'ingiusto. Il culto in sé, secondo B., è utile "per l'istituzione di rozzi popoli che denno essere governati", ma la religione è soltanto un insieme di superstizioni che vanno contro la ragione e la natura. La vita morale quindi non deve assolutamente essere guidata da formule tradizionali astratte, in quanto ha l'obbligo di essere un "eroico furore" attraverso il quale l'uomo - e anche il filosofo- riesce a cogliere l'infinità del tutto, tramite una specie di impeto intuitivo. B. scrisse trattati filosofici (Della causa, principii et uno; De l'infinito, universo et mondi; De monade, numero et figura), opuscoli polemici (Lo spaccio de la bestia trionfante), satire, commedie (Il candelaio). Per evitare le persecuzioni, B. fuggì da Napoli, dirigendosi a Roma, poi a Genova, a Savona, a Padova; quindi espatriò andando a Ginevra, a Tolosa, a Parigi, a Londra. Nel 1588 giunse a Praga, dove pubblicò due sue opere; nel 1590 fu a Francoforte sul Meno, dove ricevette l'invito ad andare a Venezia, dal patrizio Girolamo Mocenigo che, dopo aver letto un suo libro, lo chiamò per averne ammaestramenti; a Venezia B. entrò in contatto con Galileo e Paolo Sarpi. Mocenigo però, non soddisfatto dell'insegnamento del filosofo, nel maggio 1592 lo fece arrestare e condurre a Roma. B. vi subì sette anni di torture e processi, che non valsero a fargli abiurare le sue dottrine. Nel febbraio del 1600 infine fu condannato a morte e bruciato sul rogo. A Roma, in Campo dei Fiori, è stato eretto un monumento alla sua memoria (Nola 1548 - Roma 1600).