Architetto e pittore italiano. Della sua giovinezza sappiamo
purtroppo pochissimo; dovette frequentare, nella città natale, la corte
dei Montefeltro, ove venne senz'altro in contatto con le opere di Piero della
Francesca, di Luciano Laurana, di Francesco di Giorgio. È Francesco di
Giorgio, l'architetto che completò il Palazzo Ducale; è un fatto
però che le bifore della chiesa milanese delle Grazie ricordano assai da
vicino quelle di San Bernardino a Urbino.
B. lasciò le Marche
probabilmente nel 1475, per portarsi nel Nord; è assai verosimile che sia
passato da Ferrara e da Mantova, soffermandosi a studiare in modo particolare le
costruzioni di Alberti, che lasceranno una traccia non da poco nel suo stile.
Sappiamo con certezza che nel 1477 dipinse a Bergamo alcuni affreschi (oggi
quasi del tutto cancellati) sulla facciata del Palazzo del podestà. A
Milano esordì forse nel 1480, sempre come pittore, affrescando con figure
di
uomini in arme una sala della Casa Panigarola e, per l'abbazia di
Chiaravalle, un
Cristo alla colonna. Queste opere sono attualmente
conservate alla Galleria di Brera e presentano un'impostazione spaziale ampia e
sonora, di taglio per così dire architettonico. Opera complessa, che lo
pose di colpo al vertice della cultura architettonica lombarda, fu la
costruzione della chiesa milanese di Santa Maria presso San Satiro, ove per
ottenere un'imponente spazialità
B. non esita a ricorrere a
effetti illusionistici (abside dipinta, non essendo possibile per mancanza di
spazio praticarne una vera); bellissima la sacrestia, in cui rivive con spirito
rinascimentale il tipo di pianta poligonale comune a tanti battisteri d'epoca
romanica. L'ancor giovane architetto venne consultato nel 1488 per l'erezione
del duomo di Pavia, e due anni dopo per la fabbrica della certosa della stessa
città. Ricevette poi l'incarico di progettare il chiostro della basilica
di Sant'Ambrogio: un solo lato però venne costruito sotto la sua
personale direzione, mentre gli altri due, pure da lui progettati, vennero
completati in seguito (uno dopo la sua partenza da Milano e l'altro addirittura
dopo la sua morte). Nel 1494 aggiunse al castello di Vigevano alcune parti (due
logge, soprattutto) che lo trasformarono in una elegante dimora rinascimentale.
Ma già da un biennio intanto lavorava alla chiesa milanese di Santa Maria
delle Grazie, per volontà espressa di Ludovico il Moro: vi costruì
una grande tribuna, ispirata a una monumentale spazialità; le tre masse
semicilindriche dei corpi absidali si innestano rigorosamente, geometricamente,
nel cubo del corpo centrale, sormontato da una vastissima cupola; né vi
manca un esuberante apparato decorativo, per il quale
B. ricorse agli
esperti "terracottari" lombardi. Opera bramantesca, almeno in parte, è
pure la "Ponticella" di Ludovico il Moro al Castello Sforzesco (1495 circa). Con
l'arcone monumentale eretto nel 1497 davanti alla chiesa gotica di Santa Maria
Nuova di Abbiategrasso si chiuse il periodo milanese del
B.: di lì
a poco Ludovico il Moro perse lo Stato e l'artista si trasferì a Roma.
Lì, a quanto racconta Vasari,
B. si mise a studiare a fondo i
monumenti dell'antichità, tralasciando per il momento la sua
attività professionale; e tale studio lo convinse a perseguire, in
architettura, ricerche pittoriche e scenografiche, sì da armonizzare la
costruzione con lo spazio circostante. I risultati si videro nel 1503, col
mirabile tempietto di San Pietro in Montorio, che non pochi studiosi considerano
quale opera d'avvio dell'architettura cinquecentesca italiana. Il tempietto,
intensamente chiaroscurato dal suo ritmo rotatorio, avrebbe dovuto nelle
intenzioni dell'artista essere incastonato in un cortile anch'esso di forma
circolare, purtroppo mai costruito. Intense variazioni chiaroscurali vengono
presentate anche dal chiostro romano di Santa Maria della Pace, che ricorda per
il modulo compositivo la milanese Santa Maria presso San Satiro.
B.,
ormai entrato in relazione con la corte pontificia, ebbe nel 1506 da papa Giulio
II l'incarico di progettare la basilica di San Pietro; ma il progetto
bramantesco non venne realizzato, per la morte del papa, e noi ne conosciamo i
caratteri soltanto per un disegno di Antonio da Sangallo. La pianta era
rigorosamente centrale, a croce greca; la croce era inserita in un quadrato con
gli angoli segnati da quattro torri e le cupole avrebbero dovuto essere cinque:
una enorme al centro e altre quattro minori. Tale disegno, nonostante, come si
è detto, sia rimasto sulla carta, allo stadio di progetto,
esercitò grande influenza sull'architettura italiana di quel secolo.
B. sovrintese anche al riordinamento del complesso dei palazzi vaticani;
dal 1506 curò tra l'altro la sistemazione del cortile del Belvedere: ma
anche qui, purtroppo, non possiamo oggi vedere se non frammenti della sua arte
(il nicchione, la scala elicoidale), essendo stato tutto il resto profondamente
rimaneggiato da altri. L'enorme cortile del Belvedere, destinato a ospitare
feste, cerimonie, tornei, venne da
B. collegato ai palazzi vaticani
(rispetto ai quali si trovava in posizione sopraelevata) mediante ampie rampe di
scale d'impostazione scenografica: sarà tale architettura a presiedere
alla nascita di quello che verrà poi detto "giardino all'italiana"
(Urbino 1444 - Roma 1516).