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Bolscevismo.

(dal russo bol'ševizm). Movimento e partito dei bolscevichi (bol'ševiki: maggioritari). Il nome fu assunto nel 1903 dalla frazione di maggioranza (rivoluzionaria) del Partito socialdemocratico russo e divenne in seguito sinonimo di Comunismo. Sin dal congresso del partito del 1903, l'influenza della personalità del giovane Lenin aveva diviso la socialdemocrazia russa in due correnti: bolscevichi e menscevichi. All'inizio si trattò di una divisione non ben definita e non paragonabile a quella che stava avvenendo nell'Europa occidentale tra marxisti rivoluzionari e riformisti, ossia tra coloro che credevano nella necessità di una rivoluzione e coloro che la rifiutavano. Tutti i socialdemocratici russi, all'inizio del secolo, erano su posizioni rivoluzionarie e il programma del partito, approvato unitariamente nel 1903, pur prevenendo come prima fase una rivoluzione democratico-borghese, poneva come condizione essenziale della fase successiva la "dittatura del proletariato", ossia "la conquista da parte del proletariato di un potere politico tale da permettergli di schiacciare ogni opposizione degli sfruttatori". A differenza dell'Europa occidentale dove la rivoluzione democratico-borghese era già avvenuta, la Russia si trovava ancora in una fase precapitalistica. Pertanto, lo scopo immediato del partito era una rivoluzione democratica che comportasse le libertà politiche tipiche della democrazia borghese, in particolare, un'assemblea costituente basata sul suffragio universale. Nonostante la comune scelta rivoluzionaria, non mancavano anche in sede teorica serie divergenze tra i socialdemocratici russi e, dopo la rivoluzione del 1905, cominciarono a manifestarsi dissensi su questioni fondamentali, soprattutto di natura politica. In particolare le idee di Lenin sul partito, concepito come una piccola e disciplinata élite capace di guidare il proletariato preservandolo dalla sua naturale propensione a contentarsi di piccole riforme trascurando la meta principale, cioè la rivoluzione, aveva suscitato sin dal 1903 l'opposizione dei menscevichi, convinti, secondo lo schema marxiano, che la liberazione dei lavoratori doveva essere compiuta dai lavoratori stessi, e che nel Marxismo vedevano un mezzo per guidare la Russia su una via di sviluppo democratico di tipo occidentale. Dall'interpretazione della rivoluzione del 1905 emersero infatti tre diverse teorie politiche: quella menscevica, quella trotzkijsta e quella bolscevica. I menscevichi rafforzarono la loro convinzione che la prima fase della rivoluzione, ossia la fase democratica, doveva essere opera dei partiti borghesi e che perciò il Partito socialdemocratico non doveva partecipare al governo democratico-parlamentare che sarebbe sorto da questa rivoluzione e tantomeno tentare di forzare i tempi per passare alla fase successiva, quella della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato. Da parte sua Trotzkij, che era stato l'unico tra i capi del partito (gli altri leader vennero colti di sorpresa mentre erano all'estero) a partecipare al Soviet di Pietroburgo espresso dalla rivoluzione, affermava che, qualora si fosse potuto contare sull'appoggio delle rivoluzioni degli altri Paesi europei, la fase democratica e quella socialista avrebbero potuto essere contenute l'una nell'altra, così che la fase socialista si sarebbe sviluppata contemporaneamente a quella democratica. Tenendo però conto che, essendo la Russia un paese agricolo ed essendo la maggioranza dei contadini istintivamente più vicina all'ideologia borghese che a quella socialista, era necessario che il proletariato industriale assumesse la guida anche dei contadini per avere ragione della loro cultura reazionaria. I bolscevichi, e più in particolare Lenin, respingevano la teoria trotzkijsta considerandola semi-anarchica. Essi s'opponevano ancora più decisamente ai menscevichi, affermando la necessità della partecipazione dei socialdemocratici a un eventuale governo democratico-borghese e per definire questa coalizione, Lenin coniò l'espressione "dittatura rivoluzionario-democratica del proletariato e dei contadini". Nessuno di questi tre punti di vista fu in pratica accettato nel 1917 quando i menscevichi, che avevano insistito sulla non partecipazione al governo, entrarono nel governo provvisorio, mentre i bolscevichi che avevano affermato la necessità di tale partecipazione, la respinsero e operarono in modo da provocare il fallimento del governo democratico. Lenin si era infatti avvicinato al punto di vista di Trotzkij che la rivoluzione socialista poteva essere attuata anche se la fase democratica era appena iniziata e mise in pratica anche la teoria del proletariato come avanguardia della rivoluzione. La separazione dei due tronconi della socialdemocrazia russa e l'esistenza di bolscevichi e menscevichi non più come correnti o gruppi dello stesso schieramento, ma come partiti separati risale al congresso convocato a Praga da Lenin nel 1912 e i cui delegati, a grande maggioranza bolscevichi, elessero un Comitato Centrale composto di soli bolscevichi, procedendo all'espulsione della grande maggioranza dei menscevichi accusati di essere dei "liquidatori" in quanto chiedevano lo scioglimento delle organizzazioni separate dal partito. Ne risultò una più salda unità dei seguaci di Lenin come dimostrò nel 1914 la presa di posizione di fronte alla guerra. Nelle dispute con i partiti socialisti europei sulla politica da seguire nei confronti della guerra, Lenin si convinse della necessità per i partiti rivoluzionari e i gruppi di opposizione interni ai partiti di arrivare a una rottura con la Seconda Internazionale e di fondare una Terza Internazionale comunista. In questo senso egli operò nel corso delle conferenze internazionali di Zimmerwald (settembre 1915) e di Kienthal (aprile 1916). Dopo la rivoluzione del febbraio 1917, i bolscevichi fecero parte come gruppo di minoranza del Soviet di Pietroburgo in cui erano predominanti i socialisti rivoluzionari e i menscevichi. Con questi ultimi condividevano l'opinione che in quella fase non era compito dei partiti socialisti governare, ma agire come gruppo di pressione sui partiti della classe media che avevano assunto il governo. I marxisti russi, sia bolscevichi sia menscevichi (a quell'epoca essi conservavano ancora unite la maggior parte delle loro organizzazioni) concordavano sul fatto che quella di febbraio era una rivoluzione democratico-borghese e che era necessario contribuire al suo consolidamento per preparare la fase successiva e il passaggio al socialismo. Tuttavia, per quanto Lenin non avesse mai respinto apertamente l'ortodossia marxista della rivoluzione, fu sempre convinto che un partito, se adeguatamente organizzato, può impadronirsi improvvisamente del potere. Il piano d'azione rivoluzionario di Lenin per il partito bolscevico prese forma nel marzo 1917, mentre egli si trovava ancora in Svizzera, e raccomandava una tattica di "diffidenza assoluta" e di non appoggio al governo democratico-borghese. Quando Lenin arrivò a Pietroburgo nell'aprile 1917, esisteva una forte tendenza alla riunificazione dei due tronconi della socialdemocrazia e la maggioranza dei bolscevichi si oppose alla proposta di Lenin di cambiare il nome del partito socialdemocratico del lavoro (bolscevico) in partito comunista, un cambiamento che avrebbe dovuto sottolineare la definitiva rottura dei bolscevichi con la socialdemocrazia. Lenin riuscì però a conquistare tutto il partito bolscevico alle proprie idee esposte in una serie di "tesi" fatte conoscere immediatamente dopo il suo arrivo in Russia. In esse si chiedeva di "non sostenere il governo provvisorio", di operare per l'istituzione non di "una repubblica parlamentare, ma di una repubblica di Soviet dei rappresentanti degli operai, dei militari e dei contadini dell'intero Paese... la confisca di tutte le proprietà dei possidenti, la nazionalizzazione della terra, una banca unica nazionale... l'abolizione dell'esercito e della polizia". Le tesi di Lenin furono approvate all'unanimità alla VII Conferenza panrussa del partito (aprile-maggio 1917) e a partire da giugno furono organizzati i comitati di fabbrica e di officina sotto il controllo del comitato centrale del partito, che misero i bolscevichi nella condizione di poter competere col Soviet di Pietroburgo, dove essi erano in minoranza, per il controllo delle masse operaie. Benché nelle dimostrazioni del luglio successivo, in cui a centinaia si contarono i morti, il Partito bolscevico avesse operato come freno, non ritenendo ancora maturo il momento per la rivoluzione socialista, il governo decise di prendere provvedimenti per la pressione dei bolscevichi. Le misure adottate, benché obbligassero i dirigenti bolscevichi più in vista a nascondersi, non ottennero l'effetto voluto, dato che non riuscirono a distruggere la macchina organizzativa bolscevica in espansione attraverso la guardia rossa, i comitati di fabbrica e le organizzazioni militari. A ciò si aggiunse la rivolta dei contadini affamati di terra che si rivelò un fattore di grande importanza per la caduta del governo provvisorio e la conquista del potere da parte dei bolscevichi. D'altra parte, nei mesi precedenti, Lenin aveva lavorato per evitare la riunificazione con i menscevichi e costruire un partito di "rivoluzionari decisi e compatti" che sin dal 1902 egli aveva indicato come il solo mezzo che il proletariato aveva per prendere e conservare il potere. Gli stessi avvenimenti presero una piega che allontanò ogni possibilità di unificazione delle due ali del partito socialdemocratico, dato che la destra menscevica, impegnata nella coalizione con i partiti borghesi, aveva ormai perduto ogni spinta rivoluzionaria e non aveva ormai più niente in comune coi bolscevichi che avevano nel frattempo guadagnato alla propria causa gran parte delle masse proletarie. In luglio era invece praticamente avvenuta l'unificazione con il gruppo trotzkijsta dei Mezdurajonsty che fu ratificata in agosto dal sesto congresso del partito. In settembre i bolscevichi si assicurarono la maggioranza al Soviet di Pietroburgo di cui Trotzkij fu eletto presidente. Questo fatto fu seguito da un analogo successo al Soviet di Mosca e in vari centri industriali, mentre fervevano i preparativi per la caduta del governo provvisorio e la conquista del potere. Lenin coniò lo slogan "tutto il potere ai Soviet" come parola d'ordine insurrezionale e spinse il comitato centrale a intraprendere una immediata azione affermando che ormai una rivolta armata era inevitabile e "il movimento perfettamente maturo". Il 22 ottobre il Soviet di Pietroburgo votava l'istituzione di un comitato militare rivoluzionario che sotto la direzione di Trotzkij guadagnò un rapido ascendente sulle truppe di guarnigione, preparando la strada alla presa di potere da parte del congresso dei Soviet (V. RIVOLUZIONE SOVIETICA). Nel marzo 1918, al settimo congresso del partito, Lenin propose di cambiare il nome da Partito socialdemocratico russo del lavoro in Partito comunista russo. La proposta fu accolta all'unanimità e il cambiamento di denominazione sancì la completa rottura con i partiti socialisti della Seconda internazionale e, più in particolare, con i menscevichi russi. Il termine b. fu usato in seguito nei Paesi capitalisti per qualificare, anche in senso polemico, il comunismo sovietico generale.