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Bissolati Bergamaschi, Leonida.

Uomo politico italiano. Studente di Giurisprudenza a Bologna, militò dapprima nelle file repubblicane e poi in quelle socialiste: nel 1892 fu tra i fondatori del Partito Socialista, e divenne collaboratore assiduo del periodico "Critica sociale". Già attivista sindacale nelle campagne cremonesi e mantovane, assunse la direzione dell'"Avanti!", quotidiano socialista fondato il giorno di Natale del 1896. Nel 1898, in concomitanza coi moti di Milano, conobbe la prigione, ma venne quasi subito liberato per la mancata autorizzazione a procedere da parte del Parlamento. Di lì a poco incominciò l'era giolittiana, caratterizzata da una maggiore tolleranza del governo verso le organizzazioni dei lavoratori e da un uso meno sistematico della repressione poliziesca durante gli scioperi; in tale periodo B. finì per incarnare l'anima moderata e riformista del Partito Socialista, non di rado in aspra antitesi con quella massimalista e rivoluzionaria. La sua adesione di principio e di fatto alla guerra colonialista della Libia (1912) offrì lo spunto ai suoi avversari politici (capeggiati da Mussolini) per espellerlo dal partito (congresso di Reggio). Con Cabrini, Podrecca e altri riformisti, pure espulsi, B. fondò allora, nello stesso anno, il Partito Socialista Riformista (PSR), che stentò comunque a guadagnarsi un certo seguito tra le masse operaie e contadine. Scoppiata la guerra, dopo un breve periodo in cui volle farsi passare per neutrale, B. si andò invece rivelando un acceso interventista, tanto da partire volontario per il fronte; la guerra veniva da lui utopisticamente interpretata come un'"ultima guerra alla guerra", una difesa suprema dei valori democratici minacciati, a suo dire, dal dispotismo degli Imperi Centrali. Credeva che attraverso la guerra tutte le nazionalità oppresse si sarebbero redente, e che le libere nazioni avrebbero poi fraternamente collaborato l'una con l'altra. Ferito piuttosto seriamente al Monte Nero (1915), fu dal 1916 ministro senza portafoglio nel gabinetto Boselli, e dall'ottobre 1917 ministro per l'Assistenza Militare e per le Pensioni nel gabinetto Orlando. Ufficiosamente, era nel contempo incaricato di mantenere i contatti tra il potere centrale e l'esercito combattente, nonché tra il governo e i socialisti. Si dimise negli ultimi giorni del 1918, perché favorevole a un accordo con la Jugoslavia sui problemi adriatici e contrario all'annessione del Tirolo tedesco. I suoi insanabili contrasti con la politica estera del Sonnino vennero da lui stesso resi noti in un famoso discorso tenuto alla Scala di Milano: discorso che provocò le indignate proteste dei nazionalisti e, in modo particolare, la violenta reazione di Mussolini (Cremona 1857 - Roma 1920).