(dal latino
bis: due volte e dal greco
kyklos:
cerchio). Veicolo a due ruote, l'anteriore direttrice e la posteriore motrice,
azionate dalla forza muscolare dell'uomo mediante pedali girevoli che
trasmettono il movimento loro impresso dalle gambe a una corona dentata,
collegata tramite una catena a un pignone solidale con la ruota posteriore. La
b. è formata da un
telaio, realizzato di solito con tubi
metallici saldati fra loro, al quale sono fissati anteriormente il
manubrio di guida e la
forcella che porta l'asse della ruota
direttrice e, posteriormente, la ruota motrice; sono fissati al telaio anche la
pedaliera e gli
organi di trasmissione, oltre al
sellino
sul quale prende posto il guidatore, i
freni, nonché l'impianto
d'illuminazione (fanali) e di segnalazione acustica ( campanello). Vi possono
essere anche altri accessori vari, come lo
specchietto retrovisore, il
contachilometri, le
borse portaoggetti, il
portapacchi, il
cambio di velocità, fino ad arrivare al seggiolino addizionale per
bambini. Le due ruote, sostenute dalle rispettive forcelle hanno, generalmente,
lo stesso diametro e sono formate da un
cerchione unito saldamente al
mozzo per mezzo dei
raggi. Ai cerchioni sono applicati i
pneumatici, che possono essere di vario tipo a seconda dell'uso principale cui
è destinato il veicolo (strada, pista, fuoristrada). Il successo della
b. come mezzo di trasporto è dovuto anche a fattori fisiologici e
meccanici. A parità di condizioni, il dispendio energetico di un pedone
è cinque volte superiore rispetto a quello di un ciclista, che
naturalmente può contare anche su di un notevole incremento della
velocità. Il numero di fasci muscolari messi in tensione da un ciclista
è nettamente inferiore a quello azionato da un pedone. L'attrito radente
dei piedi viene sostituito dall'attrito radente ruote-terreno e i muscoli che
garantiscono la spinta sono quelli delle cosce, i più robusti del corpo
umano. La
b. può essere considerata quindi un'ottima macchina dal
punto di vista ergonomico. • Encicl. - Fin
dall'antichità l'uomo cercò di sfruttare la
ruota
(V.), la cui invenzione risale a tempi
lontanissimi, per autotrasportarsi da un luogo all'altro con il minimo dispendio
di energie. Pare che i Sumeri facessero uso di una ruota di pietra, attraversata
al centro da un piolo di legno che sporgeva dai due lati, per praticare uno
sport agonistico a quei tempi molto di moda: l'atleta, afferrate con le mani le
due estremità del
manubrio, spingeva velocemente la ruota per
imprimerle una certa velocità dopodiché si sollevava in posizione
verticale, in perfetto equilibrio, lasciandosi trasportare e rimanendo per tutto
il tragitto con la testa in giù e i piedi in alto. Lo stesso sport
sarebbe stato praticato anche dagli Etruschi che avrebbero usato, però,
ruote di bronzo anziché di pietra; non è escluso che essi
organizzassero e prendessero parte a delle vere e proprie competizioni di
velocità sulla
monoruota. Agli antichi Greci venne attribuita
l'invenzione di uno strano veicolo ad ali battenti mosse dalla forza umana
mediante un semplice meccanismo; una raffigurazione di questo antenato della
b. si può osservare su un vaso greco dell'epoca. Un veicolo del
genere è riprodotto anche in una scultura conservata nell'antica
cattedrale di Amiens, in Francia. Una sorta di
monopattino, e cioè
di un veicolo a due ruote spinto mediante la forza muscolare dell'uomo, appare
anche in un antico frammento di scultura romana (attribuibile forse al 53 d.C.).
Durante tutto il Medioevo e fino al 1400 circa, non si ha notizia di veicoli
azionati dalla forza delle gambe o delle braccia dell'uomo. Tuttavia, in un
manoscritto latino intitolato
Epistola Rogerii Baconis de secretis operibus
artis et naturae et de nullitate magiae redatto dal filosofo Ruggero Bacone
intorno al 1247 appare una profezia circa la possibile costruzione, in avvenire,
di "carrozze che senza essere trainate da animale alcuno viaggino con
velocità incredibile, come noi udiamo dire degli antichi carri
falcati...". Nel periodo che va dal 1438 al 1449 l'italiano Jacopo Mariani,
detto
Taccola, progettò e forse costruì dei veicoli diversi
azionati dalle braccia; ma già nel 1420 un altro italiano, un certo
Giovanni Fontana, aveva realizzato un leggero carro a 4 ruote mosso dalla forza
delle braccia grazie a un ingegnoso meccanismo. Questo veicolo venne
perfettamente ricostruito nel 1939 da Giovanni Canestrini, storico
dell'automobile. Anche Leonardo da Vinci disegnò, nel suo
Codice
Atlantico, due veicoli mossi dalle braccia (conservati nel Museo della
scienza e della tecnica di Milano). Per tutti i secc. XV e il XVI le invenzioni
di veicoli azionati dalla forza muscolare delle braccia si susseguirono, si
può dire, quasi senza sosta, ma soltanto nel 1610 un inventore romano (di
cui si parla nel
Codice urbinate conservato nella Biblioteca Vaticana)
costruì il primo veicolo azionato dalle gambe e non dalle braccia.
L'inventore fu il principe Francesco Peretti, un bisnipote di papa Sisto V. Il
veicolo, una sorta di
cocchio a 4 ruote e facilmente guidabile mediante
una leva mossa dalle braccia, fece grande scalpore, avendo partecipato a una
sfilata carnevalesca di carrozze infiorate appartenenti all'aristocrazia romana.
Una vetturetta a tre ruote, pure mossa dalle gambe, sarebbe stata realizzata in
Cina, nel 1620, dal missionario italiano Ricius, almeno secondo quanto scrisse
l'inglese Samuel Purchas nella sua opera
His Pilgrenage apparsa a Londra
nel 1625. La notizia fu poi confermata anche da Henry Featherstone qualche anno
dopo. Da allora i veicoli meccanici azionati dalla forza umana non si contano
più; gli inventori si sbizzarriscono a creare modelli d'ogni tipo, a
quattro o a tre ruote, mossi dalle gambe o dalle braccia; di struttura
semplicissima o elaboratamente
carrozzati, con meccanismo anteriore o
posteriore, particolarmente adatti agli uomini o anche ideati per le signore.
Alla gara parteciparono anche famosi scienziati come per esempio Isaac Newton,
come il fisico matematico olandese Cornelius Mayer, o il fisico francese Beza.
Il tedesco Bodener riuscì persino a realizzare un grosso carro, armato di
cannone, il cui movimento era affidato alle gambe e alle braccia di due sole
persone. Verso la fine del XVIII sec. e nei primi anni del 1800 vennero di moda,
soprattutto per le dame di allora, i
tricicli di legno azionati dalle
gambe mediante la pressione alternata su due leve orizzontali che trasformavano
il movimento di va e vieni in moto rotatorio applicato alle ruote posteriori.
Famosi furono i modelli costruiti dall'inglese Hanckok (con ruota motrice
anteriore) e quelli di Birch e di De Knight, pure sudditi britannici. Nel 1818
l'italiano Gaetano Brianza ne fabbricò uno di gran lusso, carrozzato
anteriormente e raffigurante un cavallo alato. Intorno a quell'epoca apparvero
anche veicoli a tre ruote costruiti in ferro anziché in legno e, a
imitazione di quanto aveva fatto Brianza, essi erano, in genere, abbelliti con
l'applicazione di animali di legno (cervi, cigni, cavalli, ecc.) Tipico fu il
veicolo, chiamato
Colibrì dai suoi inventori, fabbricato a Parigi
nel febbraio del 1829, che portava tre persone: una, seduta sul sedile
anteriore, aveva il compito di guidare; una seconda, che se ne stava in piedi in
posizione centrale, era incaricata di spingere le leve motrici; e la terza,
seduta sul sedile posteriore, badava ai freni. La fabbricazione o la
progettazione di veicoli azionati dalla forza muscolare e a più di due
ruote continuò quasi fino alla fine del XIX sec.; ma già dal 1791
qualcuno aveva pensato di costruire un veicolo a due sole ruote. L'inventore fu
il francese Mede De Sivrac, che fece la sua prima apparizione in pubblico con il
suo
cheval de bois, com'egli aveva chiamato l'ordigno, nel giardino del
Palais Royal, a Parigi. Il veicolo consisteva in una travetta di legno
orizzontale alla quale erano fissate, perpendicolarmente, due forcelle pure di
legno che sostenevano le piccole ruote anteriori di una comune carrozza; le
ruote potevano liberamente girare su due perni di ferro. De Sivrac per far
avanzare il suo
cheval de bois montava a cavalcioni sulla travetta
orizzontale e dando dei gran colpi di piede contro il terreno riusciva a
raggiungere una notevole velocità. Il problema consisteva nel fatto che
le ruote erano fisse e quindi il veicolo non poteva in alcun modo essere
guidato. Esso poteva pertanto seguire esclusivamente una traiettoria diritta e
non era in grado di evitare ostacoli, oltre al fatto che sul
cheval de
bois non c'erano freni. Tuttavia uomini e donne furono entusiasti
dell'invenzione che, dopo qualche tempo, venne chiamata
célerifère (il celerifero). Poiché De Sivrac non si
era preoccupato di far brevettare la sua invenzione, questa fu in seguito
copiata da vari costruttori che chiamarono i loro modelli con nomi diversi;
molti di essi sostituirono anche l'elementare travetta di legno con forme di
animali diverse (leone, cavallo, aquila, ecc.). I modelli più elaborati
vennero chiamati
vélocifères; la persona che montava il
veicolo era detto
vélocipède. Da questo deriverà poi
il termine
velocipede usato anche per indicare i veicoli spinti dalle
gambe. Nel 1816, venticinque anni dopo l'invenzione del celerifero, il barone
tedesco Karl von Drais costruì a Karlsruhe, in Baviera, un apparecchio di
legno molto simile a quello di De Sivrac, ma che se ne distingueva in quanto la
ruota anteriore era mobile intorno a un asse verticale; il veicolo quindi poteva
essere guidato perché bastava far girare la ruota verso destra o verso
sinistra per cambiare la direzione di marcia. Von Drais aveva applicato al suo
veicolo anche una sorta di sedile che ne rendeva meno faticoso l'uso. Il modello
fu brevettato a Parigi nel febbraio del 1818 con il nome di
vélocipède; ma tutti, poi, lo chiamarono
draisienne
(draisina). Il veicolo fu presentato ai parigini dallo stesso von Drais al
Jardin de Tivoli; in seguito venne anche aperta una scuola-guida al Parc de
Monceau. Ma la draisina era molto pesante e perciò non ottenne subito il
grande successo che il barone si aspettava; questi rivolse allora la sua
attenzione al mercato inglese, e concedette l'esclusiva della draisina a un
costruttore meccanico londinese, certo Dennis Johnson, che propose a Drais di
fabbricarne un modello in ferro. Nacque così il
pedestrian
curricle, nome col quale fu brevettata la draisina metallica nel dicembre
del 1818. Il nuovo modello andò a ruba, tanto che Johnson si dovette
associare con il costruttore De Knight per far fronte alla richiesta. Più
tardi il veicolo mutò nome in
hobby-horse, e ne venne costruita
una variante a 3 ruote, per signore, chiamata
the ladies hobby. Intanto
Drais, tornato in Baviera, studiò varie innovazioni da applicare alla
draisina e realizzò anche nuovi modelli di veicoli a due e a tre ruote.
Nel 1838 un modesto fabbro inglese di nome Kirkpatrick Mac Millan applicò
alla draisina un congegno meccanico di sua invenzione che gli permise di far
avanzare il veicolo senza bisogno di spingere con i piedi contro il terreno; si
trattava di un meccanismo formato da un gioco di leve e di bielle che, spinto
dai piedi del guidatore, in equilibrio sul veicolo, permetteva di raggiungere
una notevole velocità senza troppa fatica. Con la sua invenzione Mac
Millan percorse in un tempo relativamente breve le 68 miglia che dividevano
Courthill, la sua città, da Glasgow. Il quotidiano "The Glasgow Herald"
del 6 giugno 1842 dette ampio spazio all'avvenimento, assicurando il successo
commerciale all'inventore. Come spesso succede, molti altri fabbricanti
copiarono il modello di Mac Millan e per 16 anni vennero costruiti numerosi tipi
di draisina meccanica. Un sostanziale miglioramento alla draisina funzionante
per mezzo di leve fu apportato, nel 1855, dal giovane operaio francese Ernest
Michaux, nativo di Bar-le-Duc; dopo vari e infruttuosi tentativi di sostituire
il meccanismo a pedane, egli pensò di applicare alle due estremità
del mozzo della ruota anteriore altrettante
pedeville, ovvero delle
bielle munite di pedali per potervi appoggiare i piedi. Il semplice meccanismo
funzionava perfettamente, tanto che, dopo certi miglioramenti apportati da
Michaux al suo congegno tutti i possessori di draisine si rivolsero a lui per
farle modificare applicandovi il nuovo sistema di propulsione. Aiutato dal
padre, proprietario di una modesta officina meccanica, il giovane inventore
perfezionò il suo veicolo imponendogli il nome di
michaudine. La
fortuna assistette i due artigiani che, in pochi anni, misero da parte un
capitale non indifferente, tanto che pensarono di fondare uno stabilimento nuovo
per la produzione della
michaudine e di un nuovo modello di veicolo, in
legno, che chiamarono
biciclo Michaux. Aprirono inoltre una scuola di
biciclismo, che incontrò il favore della gente, in occasione
dell'Esposizione universale di Parigi del 1867. Al
biciclo i Michaux
applicarono anche una sorta di freno a
paletta che agiva sul cerchio di
ferro della ruota posteriore. Il
biciclo era costruito interamente in
ferro e aveva una caratteristica ruota anteriore notevolmente più grande
di quella posteriore (110 cm di diametro quella anteriore; 90 cm quella
posteriore). Il primo
biciclo Michaux apparve nel 1865 e già
l'anno successivo si trovavano in commercio i modelli fabbricati dalla
concorrenza, rappresentata da Favret, Ripert, Léfrève e Lallement,
soprattutto. Cominciarono anche le innovazioni; così un certo Rivierre
fabbricò in Inghilterra un tipo di biciclo nel quale la ruota anteriore
era molto più grande di quella posteriore; in tal modo si otteneva una
maggior moltiplicazione e, ad ogni pedalata, si percorreva un più lungo
tratto di strada. Il tedesco Meyer fu il primo a usare tubi di ferro per il
telaio, che acquistava così maggior leggerezza. Lo stesso Meyer
applicò ai mozzi delle ruote delle bronzine che attenuavano gli attriti;
a poco a poco le bronzine vennero sostituite da cuscinetti a sfera o di altro
tipo. Suriray, nel 1869, inventò la sella di cuoio (la famosa
selle
cannée). Ma i tentativi di migliorare il biciclo furono moltissimi e
non sempre ebbero buon esito. Si giunse anche a portare il diametro della ruota
anteriore a 140-150 cm. riducendo quello della ruota posteriore a soli 35-40 cm.
Uno strano modello fabbricato dal francese Martin consisteva in una grandissima
ruota centrale e in due altre ruote molto piccole fissate alle estremità
di un telaio a forma di semicerchio; le tre ruote erano poste una dietro
all'altra (1869). Si costruirono anche ruote con
raggi tangenti (1874).
Nel 1877 venne costruito un biciclo la cui ruota anteriore misurava ben 2,5 m di
diametro; vi era applicato un meccanismo di trasmissione detto
parallelogramma. Oltre ai bicicli, la cui produzione continuò fino
al 1888 circa, i costruttori, a partire dal 1869, si dedicarono anche alla
creazione di veicoli a una sola ruota, detti
monocicli; ingegnosissime
furono le invenzioni a tale proposito. Il primo monociclo, azionato con la forza
delle braccia, fu realizzato dal marsigliese Rousseau. Questo era composto da un
grande cerchione di ferro entro il quale si trovava un telaio a ferro di
cavallo, al quale erano applicate tre rotelle che potevano scorrere entro
un'apposita rotaia posta nella parte interna del cerchione, al quale era saldata
anche una sorta di cremagliera, sulla quale s'ingranava una ruota dentata pure
fissata al telaio; questa poteva essere mossa da un ingranaggio azionato a mano
mediante due manovelle. Su una sbarra orizzontale facente parte del telaio era
fissato un sellino, sul quale si accomodava il guidatore. A questo primo tipo
seguirono altri modelli azionati anche dalle gambe, come quello dell'inglese
Jackson (1870), dell'americano Hobby (1870), del francese Burbanck (1882) e
dell'italiano Scuri (1882). L'ultimo monociclo posto in commercio fu quello di
un tedesco di cui si ignora il nome (1895). Tanto i bicicli che i tricicli e i
monocicli presentavano un grave inconveniente: il viaggiatore era soggetto alle
vibrazioni delle ruote a causa delle asperità del terreno; perciò
alcuni inventori studiarono delle
ruote elastiche in grado di rendere
più comodo l'uso dei veicoli azionati dalla forza muscolare. Tra i tipi
di ruota elastica più originali ricordiamo quelle di Jules Truffault, del
Latini, di Clément, e alcuni modelli americani presentanti soluzioni
diverse. I tricicli incontrarono a lungo il favore del pubblico soprattutto
perché erano più sicuri e in un certo senso anche più
funzionali, da quando ad essi era stato applicato un sistema differenziale che
permetteva un miglior comportamento del veicolo in curva. Oltre ai tricicli e ai
bicicli, intorno al 1890, apparvero anche i
quadricicli (modelli
Coventry, Quadrant, ecc.), sui quali potevano essere trasportate più
persone. Frattanto il veicolo a due ruote si era andato notevolmente evolvendo.
Al 1876 si fa risalire la data di nascita del primo
bicicletto, del
veicolo a due ruote con trasmissione del movimento alla ruota posteriore
mediante una catena. Anche di questo nuovo veicolo a pedali e trasmissione a
catena furono costruiti numerosissimi modelli, dei quali il più
originale, fu certamente quello dell'italo-americano Latta (1888). Quello che in
Italia era chiamato bicicletto era detto
vélocipède in
Francia,
bycicle in America e
safety bicycle in Inghilterra.
Perché il bicicletto si trasformasse nella moderna
b. non mancava
ormai che l'applicazione dei tubolari pneumatici alle ruote; ciò si deve
allo scozzese John Boyd Dunlop, che all'inizio del 1889 autorizzò il
costruttore di velocipedi William Hume a munire di
gomme un suo nuovo
modello di bicicletto, chiamato
byciclette humeatic. Subito tutti gli
altri fabbricanti fecero uso, per le ruote dei veicoli da essi costruiti, dei
pneumatici ideati dal Dunlop, che fece così la sua fortuna. Da allora la
b., salvo per alcune innovazioni di carattere tecnico, è sempre
rimasta praticamente invariata. Essa è stata prodotta in modelli diversi
sia per forma che per destinazione (modelli da turismo, da corsa, da uomo, da
donna ecc.), ma sostanzialmente non è mutata. Diversa fortuna la
b. ebbe nei modelli a posti multipli come il
tandem o
dupletta (a due posti), la
tripletta, la
quadrupletta, la
quintupletta fino alla
decupletta Argentea costruita dalla ditta
Tappella di Milano nel 1940. Alla comune
b. fu in seguito applicato anche
un piccolo motorino a scoppio; e si ebbe così anche la
b. a motore
o
motorino. ║
B. di montagna (
Mountain bike, sigla
MTB): tipo di
b. con caratteristiche molto particolari rispetto alle
altre, adatta per pedalare su tutti i terreni: il telaio presenta una struttura
quasi triangolare e un triangolo posteriore; il cambio è un congegno
meccanico di alta precisione; le ruote sono molto robuste e adeguatamente
elastiche. La MTB è nata in California alla fine degli anni '70; ma le
sue origini risalgono al 1933, quando Ignaz Schwinn realizzò negli Stati
Uniti una
b. particolarmente robusta, la Schwinn Excelsior, che si
diffuse tra i fattorini che consegnavano i giornali a domicilio. Verso la
metà degli anni '70 alcuni appassionati diedero vita a gare in discesa
riscoprendo le vecchie Schwinn Excelsior. Gary Fisher, uno dei pionieri della
MTB, modificò la sua Schwinn, applicandole i cambi di velocità,
così da poter andare sia in salita che in discesa. La MTB fece la sua
prima comparsa in Italia nel 1983, anno in cui alcuni esemplari vennero
importati da Taiwan e alcuni modelli vennero esposti alla Fiera del Ciclo e
Motociclo di Milano. Tra le specialità della MTB figurano: escursionismo
(libero e di orientamento); prove di regolarità (ad andatura
escursionistica, ad andatura veloce); discesa (libera, slalom gigante, slalom
speciale, slalom parallelo); fondo (a partenza collettiva, a cronometro);
velocità (a cronometro individuale, a cronometro a coppie, a cronometro a
squadre, a staffetta, a scontro diretto, con fasi multiple successive). ║
Tra le principali fabbriche italiane di
b. ci limitiamo a ricordare:
quella di Costantino Vianzone, la prima sorta in Italia, a Borgaro Torinese
(1881); la Cappelli e Maurelli, di Milano (1890); nel 1896 sorse la Maino
(Alessandria); nel 1897, a Tradate, la Frera; nel 1899 la grande industria
Bianchi; e poi ancora la Lygie, l'Atala e, nel 1910, la Luigi Ganna,
specializzata in
b. da corsa su strada. Altre fabbriche importanti furono
la Dei di Milano, la Legnano, fondata da E. Bozzi, la Olympia, la Velox, la
padovana Torpado, ecc. • Sport - Già fin
da quando il marchese De Sivrac inventò il suo
cheval de bois lo
spirito agonistico spinse gli appassionati a organizzare gare di velocità
- magari lungo i
boulevards parigini - e, più tardi, dopo
l'avvento della draisina, anche competizioni di resistenza su lunghi percorsi.
Con la fondazione a Parigi, nel 1867, del primo giornale sportivo francese, "Le
Vélocipède", e con la costituzione, nello stesso anno, del Veloce
Club di Parigi ebbero inizio le competizioni ciclistiche organizzate. La prima
di queste ebbe luogo a Parigi, lungo i viali del Parc Saint-Cloud, su un
percorso di 1.200 m, e fu vinta dall'inglese J. Moore. In seguito altre gare si
svolsero a Saint-Hilaire, a Charenton, all'Hippodrome de Paris ecc. Ben presto
venne stilato anche un
regolamento che servì poi di base a quelli
redatti dalle varie società velocipedistiche che sorsero numerose in
quegli anni. Si trattava per lo più di
gare di velocità, di
gare a vantaggi, di
corse con ostacoli (anticipazioni dei moderni
cross-country); di
gare di resistenza su strade. Vi furono anche
competizioni originali come le
gare di lentezza o le
gare di
acrobazia, nelle quali i concorrenti, mantenendosi in piedi sul
biciclo, dovevano compiere equilibrismi vari. Non mancarono neppure le
corse dedicate alle signore, che destavano grande interesse negli spettatori. La
prima
corsa su strada si tenne nel 1868, su di un percorso di 34 km da
Tolosa a Caraman. Fu vinta da un certo Lèetard che impiegò 3 h e
9' a coprire la distanza. Il 7 novembre dello stesso anno ebbe anche luogo la
prima Parigi-Rouen, di 126 km, organizzata da "Le Petit Journal". La prima gara
inglese, la Londra-Brighton (1869), vide partire solo tre concorrenti; la corsa
fu seguita in diligenza da un unico giornalista, un certo Meredith del "Time".
In Italia la prima corsa internazionale su strada venne organizzata dal Veloce
Club Fiorentino nel 1869; ma prima di allora si erano disputate riunioni
velocipedistiche a carattere nazionale; la prima ebbe luogo a Padova, in Prato
della Valle, nel luglio 1869, e fu vinta da Antonio Pozzo. Altre riunioni furono
effettuate nella Piazza d'Armi di Udine, sempre nel 1869. Il 17 marzo 1870 a
Milano venne fondato il Veloce Club Milano che organizzò, l'8 gennaio
1871, il
Giro dei bastoni (11 km), vinto da Giuseppe Pasta in 37 minuti;
nel dicembre dello stesso anno ebbe anche luogo una gara di velocità da
Porta Venezia a Porta Tenaglia (3.500 m), e la Milano-Novara di 46 km. Anche le
corse su pista cominciarono presto, e in particolare a Milano, dove si
costruirono piste in terra, in legno e anche in cemento. Nelle varie
specialità (velocità, inseguimento, chilometro da fermo,
mezzofondo, in tandem, dietro allenatori, per professionisti o per dilettanti)
si segnalarono i nomi dei nostri Verri (1906); Martinetti (1926) e poi, in
giorni più vicini, Maspes, Gaiardoni, Beghetto e ancora Coppi,
Bevilacqua, Messina, Faggin, Baldini, Frosio, Sacchi. Tra i pionieri del nostro
ciclismo su pista dobbiamo ricordare Tarlarini, N. Pasta, Gardellin, Tomaselli,
Moretti. Assi delle corse su strada, agli albori del ciclismo internazionale,
furono gli italiani Azzini, Albini, Borgarello, Lucotti, Micheletto, F. Gay,
Ottavio Bottecchia, Giovanni Brunero, Bartolomeo Aymo, Learco Guerra, Luigi
Ganna e Martano, Morelli, Vietto, Camusso; e ancora Girardengo, Binda, Magni,
Cuniolo, Bartali, Fausto Coppi, Gerbi, Belloni, Favalli, Bergamaschi, fino ai
più recenti Baldini, Adorni, Bitossi, Gimondi, Moser, Saronni, Bugno. Tra
i grandi nomi del ciclismo straniero citiamo: i fratelli Pelissier, Terront,
Lapize, Souchard, Ronsse, Van Stenbergen, Van Loy, Kubler, Verwaecke, Debruyne,
Pelissier, Bobet, Poulidor, Merckx, Hinault, Fignon, Indurain. Attualmente le
più importanti corse su strada a tappe sono: il
Tour de France,
iniziato nel 1903, il
Giro d'Italia, la cui prima edizione ebbe luogo nel
1909; il
Giro della Svizzera, quello di
Spagna. Tra le classiche
ricordiamo: la
Parigi-Bruxelles (prima edizione nel 1893); la
Liegi-Bastogne-Liegi (prima edizione nel 1908); la
Parigi-Tours;
la
Parigi-Roubaix; la
Milano-Sanremo (prima edizione nel 1907); la
Milano-Torino (prima edizione nel 1903). Altre competizioni di interesse
internazionale sono il
Giro di Lombardia (prima edizione nel 1905); il
Giro delle Fiandre (prima edizione nel 1913); il
Giro del Piemonte
(prima edizione nel 1906); la
Milano-Modena (prima edizione nel 1906); il
Giro del Veneto (prima edizione nel 1907); la
Tre Valli Varesine
(prima edizione nel 1919); la
Freccia Vallone (prima edizione nel 1936);
il
Gran Premio Campari (Lugano); la
Parigi-Nizza; la
Coppa
Bernocchi; il
Trofeo Baracchi. Ogni anno il ciclismo vede anche
disputarsi i campionati nazionali su strada e su pista, nonché il
campionato mondiale sia per dilettanti, sia per professionisti, su pista e su
strada. Non vanno infine dimenticate le Olimpiadi che si svolgono ogni quattro
anni in concomitanza con i Giochi Olimpici, alle quali possono partecipare
esclusivamente i dilettanti. Risale al 1885 la fondazione a Pavia dell'Unione
Velocipedistica Italiana, che nel 1964 venne trasformata in Federazione
Ciclistica Italiana, con sede a Roma, e alle dirette dipendenze del CONI
(V. anche CICLISMO).
Modello tridimensionale della bicicletta inglese Denis dei primi dell'800
Modello tridimensionale di bicicletta da corsa
Modello tridimensionale di mountain bike