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Bembo, Pietro.

Letterato italiano. Di famiglia nobile, fu avviato agli studi umanistici dal padre Bernardo, uomo di grande cultura, che gli mise a disposizione una ricchissima biblioteca e lo fece entrare in contatto con illustri letterati quali Marsilio Ficino e Lorenzo il Magnifico. Nel 1492, quando si era già affermato come poeta in latino, si recò a Messina per approfondire lo studio del greco alla scuola di Costantino Lascaris. Tornato in patria due anni dopo, decise di dedicarsi alla filosofia a Padova e conobbe Aldo Manuzio, presso il quale stampò la sua prima opera, De Aetna (1496), un dialogo in latino in cui si narra un'ascensione sul vulcano. Nel 1497 si trasferì a Ferrara, a seguito del padre, inviato nella città come rappresentante della Serenissima, e sperimentò l'atmosfera di un ambiente di corte, stringendo rapporti di amicizia con Ariosto, Leoniceno, Sadoleto. Durante questo importante soggiorno B. concepì gli Asolani (pubblicato nel 1505), un dialogo in cui si propone un'idea dell'amore come desiderio contemplativo della bellezza ideale, divina, lontana dalla realtà terrena. Nel frattempo curò per Aldo Manuzio due edizioni molto importanti: le Cose volgari di M. Francesco Petrarca (1501) e Le terze rime di Dante (1502). Nel 1502 accettò l'invito di Ercole Strozzi di andare a vivere nella sua villa di Ostellato, nei pressi di Ferrara; in quel periodo nacque l'amore per Lucrezia Borgia. Tornato a Venezia dopo la morte del fratello Carlo (1503), fu incaricato di svolgere missioni diplomatiche per conto del Governo veneziano. In seguito al fallimento dei suoi progetti di carriera politica, nel 1506 si trasferì alla corte di Urbino. L'anno seguente, sperimentando la poesia volgare, scrisse la canzone di stile tragico in morte del fratello Carlo e il dialogo in ottave, le Stanze, recitato dal poeta stesso e da Ottaviano Fregoso l'ultima sera di carnevale. A Roma a partire dal 1512, B., che nel 1508 aveva intrapreso la carriera ecclesiastica, venne nominato da papa Leone X segretario ai Brevi, insieme a I. Sadoleto. Tornato nel Veneto nel 1519 iniziò un'intensa attività letteraria che lo portò a terminare l'opera sulla letteratura volgare che aveva cominciato a Urbino e di cui i primi due libri erano già pronti nel 1512: le Prose della volgar lingua, che uscirono a Venezia nel 1525. Le Prose consistono in una serie di discussioni, che si immaginano avvenute a Venezia nel 1502 fra Carlo B., portavoce delle idee del fratello, Giuliano de' Medici, Federico Fregoso ed Ercole Strozzi. L'opera è composta di tre libri: nel primo libro vengono esaminate le origini della lingua italiana e viene identificata la lingua letteraria con il fiorentino degli scrittori del Trecento; nel secondo libro i modelli migliori della poesia e della prosa volgare vengono identificati con le opere di Petrarca e Boccaccio; nel terzo libro si espongono le regole della grammatica volgare con riferimenti agli autori trecenteschi. Al 1530 risale la pubblicazione di un'edizione complessiva delle opere volgari e latine di B., comprendente anche le Rime, nelle quali il poeta prese a modello il Petrarca del Canzoniere. Nello stesso anno la Signoria di Venezia nominò B. bibliotecario della Libreria Nicena (l'attuale Marciana) e storiografo ufficiale della Repubblica; nell'ambito di quell'attività lo scrittore realizzò i Rerum Venetarum historiae libri XII (dal 1487 al 1513). Nel 1536 B. pubblicò i Brevi scritti per Leone X e nel 1538 uscì la seconda edizione delle Prose. Nel 1539 fu nominato cardinale da Paolo III; in seguito divenne vescovo di Gubbio e Bergamo. Negli ultimi anni della sua vita B. continuò instancabilmente a rivedere gran parte delle sue opere; i suoi scritti furono pubblicati postumi, a cura degli esecutori testamentari. L'ingente corpus comprende le due versioni della storia veneziana, la redazione definitiva delle Prose della volgar lingua (1549) e degli Asolani (1553), l'epistolario in latino e in volgare (Venezia 1470 - Roma 1547).