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Beccarìa, Césare.

Giurista, economista e scrittore italiano. Nato in una famiglia della nobiltà milanese, fu educato rigidamente dai Gesuiti del Collegio farnesiano di Parma. Nel 1758 conseguì il dottorato in Diritto a Pavia; successivamente, entrò in contatto con l'Accademia dei Pugni e, in particolare, con Pietro Verri, su esortazione del quale scrisse il trattato che lo rese famoso a livello internazionale: Dei delitti e delle pene (1763-1764). Si trattò di un duro atto d'accusa contro le atrocità e le deviazioni giudiziarie ancora dominanti (denunce segrete, torture, procedure penali, criterio punitivo, pena di morte, ecc.), ma in primo luogo contro le strutture sociali che ne erano la causa. In Europa tale opera ottenne un consenso pressoché unanime, in particolare negli ambienti vicini all'Illuminismo francese, benché non mancassero violenti attacchi da parte dei settori più retrivi della società. Risalgono sempre a questo intenso periodo: il Tentativo analitico su i contrabbandi, il Frammento sullo stile e il Frammento sugli odori. In seguito, B. rifiutò l'invito di Caterina II a recarsi in Russia e tale atteggiamento mutò il suo rapporto con Verri. Dopo un soggiorno a Parigi, che gli permise di entrare in contatto con gli enciclopedisti, a B. giunse l'offerta del Governo austriaco di occupare la carica di professore di Scienze camerali presso le Scuole palatine (1768). Iniziò, così, un periodo più tranquillo e produttivo per B., che nel 1770 pubblicò le Ricerche intorno alla natura dello stile, pregevole frammento sulla storia della civiltà umana; seguirono gli Elementi di economia pubblica, uno degli esempi più lucidi e originali del pensiero economico italiano del XVIII sec. Nominato consigliere nel Supremo consiglio di economia (1771), nel 1778 B. ottenne la carica di magistrato provinciale per la Zecca e di membro della legazione incaricata della riforma delle monete (Milano 1738-1794).