Poemetto burlesco greco, attribuito anticamente a Omero o a Pigrete di
Alicarnasso, fratello della regina Artemisia. Scritto in esametri, è una
parodia della poesia epica, forse il rifacimento ellenistico di un'opera
risalente all'epoca dei rapsodi più tardi. La sua forza unica risiede
nell'originale insieme di epico e di burlesco, che assume valore di satira
quando alla meschina competizione fra gli abitanti della palude si interessano,
con altisonante linguaggio, i divini personaggi dell'Olimpo. La trama della
vicenda è semplice: una rana invita un topo a salirle in groppa per
portarlo ad ammirare la sua casa, ma durante il guado la stessa rana, atterrita
dall'improvvisa apparizione di una biscia, si tuffa sott'acqua e fa annegare
miseramente il topo. Guerra feroce, pertanto, di vendetta dei topi contro le
rane. Del fatto si interessa anche Giove, il quale vorrebbe far intervenire
Atena in favore dei topi, ma la dea, irata contro questi ultimi che, nel tempio,
le rosicchiarono il peplo e contro le rane che le disturbarono i sonni, se ne
astiene e invita gli altri dei a fare altrettanto. I topi fanno scempio delle
rane, ma Giove, mosso a misericordia, mobilita un'orda di granchi che, a suon di
morsi, mettono i topi definitivamente in fuga. Leopardi fece una traduzione
dell'operetta (1816) e scrisse una continuazione,
Paralipomeni della B.
(1842, postuma), in cui satireggiò, nella contesa allegorica tra topi e
rane, le lotte politiche dell'Italia contemporanea.