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Banca Romana, Scandalo della.

Grande scandalo politico-finanziario scoppiato in Italia nel 1893. Comportò una crisi politica di vaste proporzioni, conseguente al fallimento, avvenuto tra il 1889 e il 1893, di alcune importanti banche. La Banca Romana era stata fondata nel 1835 come istituto di credito ordinario con diritto di emissione, con capitale prevalentemente francese e belga. A causa di operazioni azzardate, nel 1848 fu costretta a sospendere temporaneamente i pagamenti. Ribattezzata nel 1851 Banca dello Stato Pontificio, riassunse la precedente denominazione nel 1874 e venne nuovamente inclusa, principalmente per motivi politici, tra i sei istituti autorizzati dallo Stato italiano a emettere carta moneta. Il suo governatore, B. Tanlongo, era stato uno dei primi ad approfittare della speculazione edilizia che aveva cominciato a dilagare a Roma, divenuta nel frattempo capitale del Regno. Egli aveva addirittura fatto stampare in Inghilterra una serie di banconote, senza consultarsi con il Governo. La circolazione cartacea della Banca Romana superò, in tal modo, di ben 60 milioni di lire il limite legale. Inoltre esistevano banconote false per quaranta milioni emesse in serie doppia. Notizie su queste irregolarità cominciarono a trapelare nel 1889, in seguito ad alcuni fallimenti bancari, e verso la fine di quell'anno fu nominata una commissione d'inchiesta ministeriale, presieduta dal senatore Alvisi, incaricata di stabilire se le banche avessero una circolazione superiore a quella consentita. La commissione rilevò numerose irregolarità, tra cui la concessione di prestiti politici, ma la sua relazione non venne mai resa pubblica. Per alcuni anni la cosa poté rimanere sotto silenzio, ma le tranquillizzanti dichiarazioni ufficiali non misero a tacere le voci di malversazioni e quando nel novembre 1892 Tanlongo fu nominato senatore, a compenso dei servigi politici prestati, le voci si fecero più insistenti e meno velate. Nel dicembre successivo, il deputato dell'opposizione Colajanni rimise la questione sul tappeto, pubblicando le conclusioni della relazione Alvisi, ma il Parlamento, a grande maggioranza (316 voti a favore, 27 contro) decise di insabbiare nuovamente la questione. Non così la stampa che si gettò sullo scandalo, facendo in modo che non potesse più essere nascosto. Anziché promuovere un'inchiesta parlamentare, si nominò una commissione governativa che lasciò passare abbastanza tempo per consentire ai responsabili della Banca Romana di falsificare in tutta fretta i libri contabili. Questo però non fu sufficiente e la commissione, per quanto benevola, poté appurare che il valore della circolazione era di due volte superiore a quello consentito dalla legge e che una cinquantina di milioni erano andati perduti in speculazioni sbagliate, malversazioni e corruzioni politiche. Nel marzo 1893, il presidente del Consiglio Giolitti dovette consentire a nominare una nuova commissione parlamentare incaricata di esaminare le implicazioni politiche di quanto era venuto alla luce. Nel novembre successivo, venne presentata una relazione che, per quanto volta a minimizzare la questione, mise in luce fatti molto gravi di corruzione politica. Giolitti si dimise e fu sostituito da Crispi, il quale, a sua volta, fu travolto dallo scandalo. La liquidazione dell'Istituto fu affidata alla Banca d'Italia, costituita nel 1893 nell'ambito di un'ampia riforma del sistema bancario italiano.