Tragedia di Euripide, appartenente all'ultimo anno della
vita del poeta e rappresentata postuma per volere del figlio. È pervenuta
a noi con una lacuna finale di almeno cinquanta versi. È considerata una
delle più belle tragedie del teatro greco. L'azione si svolge a Tebe:
Dioniso vi è giunto sconosciuto, in forma umana, con le Baccanti sue
seguaci, per punire l'incredulità delle sorelle di sua madre che non
riconoscono la sua divinità e diffondere il suo culto, dapprima in questa
città e poi in tutta la Grecia. A Tebe è ancor vivo il vecchio re
Cadmo, padre di Semele, madre dello stesso Dioniso, e di Agave, madre di Penteo
cui il nonno ha lasciato il potere. Il dio, travestitosi da mago, invasa sia
Cadmo e Tiresia sia le donne, che invia sui monti per celebrare i misteri
bacchici. Tutti sono sedotti dalla frenesia orgiastica dei riti dionisiaci
abbandonandosi alle sfrenate licenze di quel culto. Penteo vuol porvi un argine,
poiché giudica quei riti come espressione di una pazza e rovinosa
superstizione e decide di arrestare il presunto mago. Ma Dioniso lo punisce e,
dopo essersi miracolosamente liberato, soggiogando la libertà del re, lo
induce, vestito da donna, ad assistere alle orge che si svolgono sul monte
Citerone. Dapprima esitante, Penteo finisce col piegarsi al volere del dio. Le
Baccanti allora, ingannate dal potere di Dioniso, credendolo un leone, lo
afferrano e lo dilaniano: prima fra tutte, la madre di lui, Agave, che egli
riconosce e supplica vanamente, e che, come una pazza, porterà in cima a
un tirso la testa del figlio, vantandosi d'aver preso e sbranato un giovane
leone. È quest'ultima, forse, la più potente scena di questa
tragedia, in cui è mirabilmente espressa la debolezza umana di fronte al
capriccio di una divinità misteriosa e crudele. Cadmo riporta alla
ragione la donna, ma la vendetta del dio è ormai compiuta. La potenza
dell'irrazionale, sempre presente nella natura umana, ha prevalso sulla
ragione.