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RIVOLUZIONE CULTURALE CINESE
(settembre 1965 - estate 1967). Tentativo di mobilitazione politica condotto da Mao Zedong negli anni sessanta con l'obiettivo di evitare alla rivoluzione cinese il processo di involuzione sociale che egli ravvisava nell'Unione sovietica. Secondo un'interpretazione, l'iniziativa fu probabilmente collegata allo scontro di vertice tra Mao, appoggiato dall'esercito popolare guidato da Lin Biao e da pochi ideologi rivoluzionari come Chen Boda, e l'apparato istituzionale del partito e dei sindacati diretto da Liu Shaoqi e da Deng Xiaoping. I diversi gruppi dirigenti strumentalizzarono ai loro fini le forze presenti nella società civile provocando a più riprese la rimozione e la persecuzione di interi settori di militanti di partito, la crisi di importanti strumenti culturali e amministrativi e un danno generale all'apparato produttivo del paese e soprattutto al processo di formazione delle nuove generazioni. Un'altra linea interpretativa accentua invece il carattere eversivo degli appelli di Mao ai giovani contro il consolidamento delle strutture burocratiche immobilistiche e parassitarie, dovuto all'intreccio tra la tradizione confuciana e l'adesione ai modelli staliniani. La sconfitta della Grande rivoluzione culturale proletaria si consumò nell'estate 1967, quando Mao dovette accettare la logica di un ritorno all'ordine, sostenuto tra l'altro dai quadri rurali di formazione militare a lui fedeli, dall'esercito e dall'amministrazione capeggiata da Zhou Enlai. Le successive vicende (dalla condanna dei gruppi giovanili, a quella degli ideologi e poi di Lin Biao fino all'arresto di Jiang Qing e della cosiddetta "banda dei quattro" dopo la morte di Mao) sarebbero state solo tappe della rimozione dell'esperienza.

E. Collotti Pischel (a c. di), Cina oggi, Laterza, Bari 1991; Cambridge History of China, vol. XII, Cambridge University Press, Cambridge 1983; J. Esmein, Storia della rivoluzione culturale cinese, Laterza, Bari 1972.
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